Il tuo stile non è personale
Pensi di avere uno stile personale? La psicologia dietro le nostre scelte di abbigliamento
Molti di noi pensano di essere originali nel vestirsi, di seguire uno stile che ci rappresenta davvero. Ma, pensaci bene, il tuo stile stile è davvero personale? C’è una verità più profonda e affascinante dietro il nostro modo di scegliere i vestiti. In realtà, ciò che indossiamo non è sempre una pura espressione della nostra individualità, ma una ricerca inconscia di appartenenza a determinati gruppi sociali.
L’influenza sociale sul nostro modo di vestirci
Quando guardiamo il nostro guardaroba, ci rendiamo conto che, inconsciamente, indossiamo ciò che ci permette di essere accettati dal nostro ambiente. Che si tratti di un abito elegante per un incontro di lavoro o di un completo sportivo per un’uscita informale, il nostro stile è spesso una risposta alle aspettative sociali che ci circondano. Un uomo che indossa giacca e cravatta, ad esempio, non lo fa solo perché gli piace, ma perché sa che in determinati contesti – come un incontro di lavoro o una cerimonia – quel tipo di abbigliamento è la “norma”. Le donne, invece, potrebbero scegliere abiti più attillati per essere percepite come sicure di sé o per adeguarsi agli standard estetici predominanti. Anche chi cerca di non farsi notare, scegliendo vestiti discreti e anonimi, lo fa per adattarsi al “normale”, alla cosiddetta “massa grigia”, evitando di attirare troppo l’attenzione.
Queste scelte, apparentemente dettate dalla preferenza personale, sono in realtà il risultato di una pressione sociale invisibile che ci invita a conformarci, a non differire troppo da chi ci circonda. La psicologia che sta dietro a queste scelte si fonda su un bisogno primordiale di appartenenza: l’uomo, fin dalla preistoria, ha imparato a inserirsi in gruppi per garantire la sopravvivenza. Oggi, sebbene non rischiamo più di essere cacciati via per non seguire le regole sociali, il nostro bisogno di essere accettati rimane molto forte, anche se si manifesta in forme più sottili, come la scelta di un abbigliamento adeguato.
Quando smettiamo di scegliere per noi stessi

Fino a un certo punto della nostra vita, siamo in grado di ignorare la moda o di scegliere ciò che ci piace realmente. Questo accade soprattutto nell’infanzia, quando non ci preoccupiamo troppo delle opinioni degli altri. I bambini si vestono in base a ciò che vogliono, senza temere di essere giudicati. Il loro stile, anche se bizzarro, è autentico, e ogni scelta di abbigliamento risponde a un’esigenza di espressione e divertimento. Ma man mano che cresciamo, diventiamo più consapevoli del nostro aspetto e dei segnali che il nostro abbigliamento invia agli altri. Ci rendiamo conto che, se vogliamo essere parte di un gruppo, dobbiamo uniformarci in qualche modo alle sue regole, in particolare quelle legate all’abbigliamento.
Questa transizione avviene in modo quasi impercettibile: dai vestiti colorati e divertenti da bambini, arriviamo a una maggiore attenzione alla “moda”. Si inizia a notare come i compagni di classe, i colleghi di lavoro, i boss, e persino personaggi di successo o altre figure pubbliche, influenzino le scelte stilistiche. Vogliamo essere come loro, perché li associamo al successo, alla sicurezza, all’accettazione. Non è un caso che molti dei capi d’abbigliamento che indossiamo siano legati non solo al nostro stile personale, ma anche al desiderio di avvicinarci a determinati modelli di vita e di comportamento.
Quando il tuo stile non è personale: gli stilisti e le loro scelte
Anche gli stilisti, coloro che creano la moda, operano all’interno di una rete di influenze sociali. Se da un lato vogliono esprimere la propria creatività e lasciare un segno nel mondo della moda, dall’altro devono sempre fare i conti con la realtà del mercato. È vero che molti stilisti, soprattutto nelle collezioni haute couture, cercano di spingersi oltre i limiti dell’originalità, creando abiti che rappresentano la loro visione unica. Ma quando si tratta di moda prêt-à-porter, quella destinata al grande pubblico, la situazione cambia.
Gli stilisti, infatti, sanno che devono fare scelte che rispondano alle esigenze della maggior parte delle persone, e questo comporta una comprensione molto precisa delle dinamiche sociali e dei desideri del pubblico. Creano tendenze che si adattano alle aspettative della gente, spesso prendendo ispirazione da ciò che è già in voga o dalle richieste che arrivano dal mercato. La loro missione, in fondo, è quella di vendere, e quindi ciò che producono deve rispecchiare i gusti delle masse, anche se a volte può sembrare una ripetizione delle stesse idee.
Un esempio famoso riguarda le collezioni di Giorgio Armani negli anni ’80, che hanno rivoluzionato la moda maschile, introducendo l’idea del “power dressing“. Gli abiti maschili di Armani, con le loro giacche ampie e le spalle rigide, rappresentavano un simbolo di autorità e successo. Armani stesso ha dichiarato che il suo obiettivo non era solo di creare abiti belli, ma di adattarli alle necessità di una società che stava cambiando, dove l’abbigliamento diveniva un linguaggio per raccontare chi eravamo e cosa volevamo diventare.
Quindi, quando creiamo il nostro stile, non dobbiamo dimenticare che, anche se pensiamo di essere originali, stiamo comunque rispondendo, almeno in parte, a un’influenza sociale che ci guida verso la conformità.
Conclusione: il tuo stile non è personale come pensi
Si, il tuo stile non è tanto personale quanto credevi. Ma ti vesti così perché vuoi suscitare certe emozioni e sentimenti in chi ti guarda. E se ci riesci, l’obiettivo dell’abbigliamento è stato raggiunto. E va bene così. Perché l’abbigliamento è una specie di lingua internazionale, che aiuta a capire chi abbiamo davanti. Un abito non è solo un vestito, ma un messaggio, una forma di comunicazione che, a volte, può dire più di mille parole. Quindi, perché non sfruttarlo? D’altra parte, se parlassi una lingua sconosciuta a chi ti sta davanti, allora nessuno ti capirebbe. E se il tuo stile aiuta a farti capire, allora è davvero un successo.
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